Dario Hubner

“C’era Paolo Maldini, che nel tunnel degli spogliatoi, finita la partita, spesso mi chiedeva la maglia.
Non potevo dirgli di no, perché era un monumento del calcio mondiale, perché sapeva farsi apprezzare sia come avversario sia come uomo ma soprattutto perché mio figlio era tifosissimo del Milan e lo era diventato proprio grazie a una sua maglia.
Il regalo più grande però glielo feci qualche anno più tardi, nel 2008.
I rossoneri avevano appena vinto la Champions League ad Atene e verso marzo chiesi a Bonera, che ormai era lì già da un paio di stagioni, di poter andare a fargli visita a Milanello.
Era il Milan dei campioni.
Quando entrammo, ci fecero avvicinare fino al campo principale. Mister Ancelotti vide mio figlio bardato di rossonero dalla testa ai piedi e gli si avvicinò.
«Come va Marco, tutto bene?»
«Certo mister, benissimo!»
Era super emozionato e in tasca aveva un foglietto da mostrare proprio a Carletto.
«Mister», dissi io, «guardi che questo ieri sera ha fatto la formazione da schierare in Champions.»
A quel punto Ancelotti lo prese in disparte e andò a sedersi in panchina insieme a lui.
Dida, Maldini, Nesta, Serginho, Pirlo e davanti Pippo Inzaghi, che al settantesimo avrebbe dovuto lasciare spazio a Ronaldo.
Ancelotti allora chiamò il Fenomeno:
«Ronnie, vieni qua. Guarda che faccio partire Pippo titolare, però tieniti pronto perché al settantesimo entri».
«Ok mister, pensavo di giocare un po’ di più ma va bene così», rispose Ronaldo facendosi una bella risata.
Il sorriso più bello però era quello di Marco, al quale ovviamente gli sembrava di sognare a occhi aperti.
Conoscevo bene Ciaschini, il vice di Ancelotti che mi aveva allenato a Fano.
Fu proprio lui a dirmi che quel foglietto su cui era scritta la formazione venne poi appeso dal tecnico rossonero all’interno dello spogliatoio, dove ci rimase per almeno due mesi.”
[Dario Hübner]
Fonte: autobiografia “Mi chiamavano Tatanka”