Giovanni Trapattoni

“Arrivammo al 7 febbraio 1999 con sette punti di vantaggio sul Milan, che avremmo ospitato a Firenze. Qualche giorno prima Edmundo era venuto da me e, spiegandosi in un italiano stentato, mi aveva fatto capire che doveva assolutamente tornare in Brasile per una settimana.
«Cosa devi fare?» gli chiesi.
«Carnaval. Rio. Io sono capo di un gruppo di carnevale molto importante…»
«Edmundo, porca miseria, qui siamo in piena corsa per lo Scudetto…»
«Lo so ma c’è Batistuta e poi c’è Oliveira…»
«Eh, ho capito, ma non si sa mai.»
«Mister, io devo proprio andare, mi aspettano…»
Gli dissi di sì proprio perché avevamo sette punti di vantaggio.
Per una volta rinnegavo la mia proverbiale prudenza.
Durante Fiorentina-Milan, Batistuta si ruppe per la troppa generosità.
Mi girai verso Edmundo e gli dissi: «Senti, mi dispiace, ma mi sa che stavolta il carnevale a Rio non riesci a fartelo…».
Lui mi guardò terrorizzato.
«No, non puoi chiedermi questo, ormai è tutto deciso, ho già le valigie pronte, tutta la famiglia mi aspetta per andare…»
«Ne parliamo dopo la partita» gli dissi.
Finì 0-0, scesi negli spogliatoi e mi dissero che Edmundo era già partito per l’aeroporto di Pisa.
Non ci pensai due volte, mollai tutti lì, presi la macchina e mi diressi all’aeroporto. Dovevo convincere Edmundo a restare.
Quando mi vide non voleva crederci, accennò perfino una fuga per i corridoi del terminal.
Lo supplicai, lo presi con le buone, gli dissi che era più forte di Batistuta e di Rui Costa. Che era il giocatore fondamentale della squadra.
Mi misi perfino in ginocchio davanti a lui. Niente.
Capii che della Fiorentina non gliene fregava niente. Partì lo stesso, lasciandomi con il solo Oliveira a fare il resto della stagione, e praticamente non tornò mai più.”
[Giovanni Trapattoni]
Fonte: autobiografia “Non dire gatto”